L’impianto, a Maggio del 2017, è andato benissimo nonostante le pietre che impedivano alla macchina impiantatrice di lavorare. La pioggia, tanto invocata dopo l’impianto, non è mai arrivata fino all’autunno, ma la terra sotto era umida, frutto di una bella nevicata invernale. La vite con una sola irrigazione ha avuto un buon sviluppo e c’è stata poca moria di piante.
Durante l’inverno con l’inizio del 2018 ha iniziato a piovere e non ha più smesso. Non si riusciva più a entrare in campo e le erbe hanno letteralmente sommerso le piante che avevamo lasciate libere di svilupparsi senza legarle al tutore. Piano, piano con la trincia e a mani abbiamo liberato le piante, potate e zappate a mano; lo facciamo sempre, così conosciamo ogni pianta con le sue caratteristiche e operiamo di conseguenza, mio padre Giuseppe ha sempre detto “è la pianta che deve parlare”, non servono i modelli preimpostati.
Il tipo di allevamento che vogliamo realizzare è l’alberello alto in cui la palificazione e i fili servono a sorreggere la vegetazione annuale. Le cure al vigneto le facciamo con zolfo per l’oidio e poco rame per la peronospora in via preventiva; facciamo anche prove con olio di arancio e tannino di castagno nelle rare annate in cui ci sono degli attacchi importanti. I pali in corten che abbiamo usato sono meno impattanti allo sguardo, i fili a coppie sorreggono i rami. L’irrigazione l’abbiamo montata per dare un aiuto nei primi anni, l’acqua è poca, si riesce a dare una o due irrigazioni di soccorso, vedremo più avanti in base al clima cosa sarà necessario fare.
Il vitigno da cui si ottiene il nostro rosso di Mamoiada è il Cannonau. Nei vecchi vigneti il Cannonau è presente al 90% circa, il 10% restante comprende piccole percentuali di Monica, Pascale di Cagliari, Bovale grande; sono presenti anche dei vitigni a bacca bianca: l’autoctono Granatza e il Moscato.
Nel nostro vigneto abbiamo preferito impiantare il Cannonau in purezza. Le marze le abbiamo prese dall’impianto da selezione massale dei fratelli Mele e, il nostro vivaista di fiducia, Silvano, ci ha preparato in vivaio le barbatelle. La scelta massale è stata d’obbligo perché nell’intento di fare un vino territoriale, non si può pensare di perdere la complessità data da tante piante madri che danno ognuna la propria interpretazione della terra nelle uve e poi nel vino; è un canto corale. Da sempre è stato così, il vignaiolo sceglieva le marze dalle migliori piante dei vigneti vicini e così complessità del vino e biodiversità venivano conservate.
Abbiamo scelto come porta innesto il 1103 Paulsen che ha come difetto una eccessiva vigoria, ma è quello che più si adatta al vitigno e ai nostri terreni di natura granitica leggermente acidi che possono essere molto siccitosi in estate e che di fatto ne mitigano la forza.